La danza e la comunicazione dei saperi

La danza e la comunicazione dei saperi

di Moreno Bernardi

Didattica della comunicazione didattica

a cura di Francesco Butturini

Ministero dell'Istruzione, dell'Universotá e della Ricerca

Quaderni 8

 

La danza e la comunicazione dei saperi - Moreno Bernardi, pagg.319-331

 

 

 

Seminario Nazionale ‘Didattica della comunicazione didattica’

Italia 21-24/04/08

 

IL CORPO DELLA DANZA E LA COMUNICAZIONE DEI SAPERI

intervento di

Moreno Bernardi

23.04.2008 Verona

 

 

 

IL CORPO DELLA DANZA E LA COMUNICAZIONE DEI SAPERI , Moreno Bernardi

 

 

Il corpo della danza ovvero l’idea di corpo che danza, un’idea che, durante anni di e-ducazione, ha culturalmente separato il concetto di corpo dal concetto di psiche, servendosene come oggetto utile per sottolineare le differenze con le capacitá mentali. Cerchiamo quindi ora di chiarire un’idea di corpo come scienza data, scienza corporale della comunicazione, come attivitá della ‘comprensione’. Vorrei definire il mio intervento come un ‘luogo’ in cui ri-cercare qualcosa che tenteró di descrivere e a cui, spero, possiate dare un nome al termine di questo seminario.

Un ‘luogo’, un tentativo di ri-visione.

Un ‘luogo’ e un ‘momento’ di propietá del pensiero umano e del suo linguaggio, artistico in questo caso e non solo, un luogo e un momento per un evento quindi, dove la danza espressa il suo rapporto con il tempo, ricordano la libertá che Heidegger si prende con il termine Ereignis, che secondo Manuel Olasagasti, il filosofo lo relaziona al neologismo Er-äugen, guardare, per sottolineare il momento di rispettivitá, soprattutto con l’essenza umana. Un luogo e un momento, in cui è possibile che il corpo che danza accade, e in cui il corpo che guarda fa propio ció che accade.

 

La danza è un arte antica.

Il corpo della danza è un corpo antico dell’umano che ci parla con le sue braccia, le sue mani, i suoi piedi, con ritmi musicali, interni e apparentemente esterni, che fa dello spazio che occupa un luogo dinamico di poteri: estetici, comunicativi, linguistici, filosofici; un corpo che obbliga al silenzio al momento del suo manifestarsi, ci fa’ testimoni di una serie di simboli e segni che indentifichiamo con fonti e origini diverse a seconda della percezione o dello stato sensitivo in cui il nostro corpo che guarda sperimenta il suo essere attento.

Il linguaggio del corpo, ovvero il linguaggio di un simbolo in continuo movimento, un simbolo che cambia di forma in forma, di momento in momento, che manifesta il ‘dire’ e il ‘sapere’ di sé, un simbolo che ci presenta agli altri, che ci mette a disposizione di ció che normalmente definiamo come ‘altro’, o che noi stessi, portatori di detto simbolo, definiamo come ‘altro’ ogni volta che percepiamo una identitá esterna a lui, esterna al corpo, al simbolo di noi, al nostro manifistarci. È chiaro a tutti se diciamo che A è non-A, pero possiamo dire che il linguaggio corporale è il non-linguaggio corporale?, o meglio, qui, in questo stato di cose, possiamo forse affermare che il non-corpo è corpo? Credo di sí. Normalemte si utilizza un termine per identificare un oggetto che alimenta in noi la necessitá di essere ri-conosciuto e distinto da un’altro, quando ci serviamo della definizione ‘linguaggio corporale’ è per distinguere l’oggetto in questione dal linguaggio verbale, pero esistiamo verbalmente sospendendo il nostro essere corporale?, o, volenti o nolenti, di fronte alla nostra applicazione cosciente dell’uso delle parole che formalizzano un messaggio, lasciamo all’interlocutore la libertá di osservare le nostre mani o il movimento dei nostri occhi o un cambio di posizione? Con il rischo che si possa distrarre su qualcosa che non è sotto il nostro controllo? Se l’uso della parola si materializza in un documento scritto, non è forse con il corpo che il lettore ne viene a conoscenza? Il linguaggio verbale è sempre corporale, per chi lo espressa o per chi lo riceve. Il linguaggio corporale si presenta al nostro stato conoscitivo come verbale per il fatto che è discorso, è motivo di verbalizzazione di ció che espressa, anche se questo non puó non coincidere con ció che indica. Il corpo quindi, manifestazione organica e inevitabile, è una pluralitá di segni, facilmente o difficcilmente codificabili e di diversa comprensione, a seconda del motore in grado di comprendere, di comprimere. Si tratta quindi per me, oggi con voi, di decifrare, nei limiti dei tempi a disposizione, qualcosa che vi sia utile dentro della citata pulralitá.

Esiste una discilina o un sapere che non si sia occupato del ‘corpo’, almeno in parte?

No, lo sappiamo, per il semplice fatto che tutto ció che è nostra conoscenza, o che possiamo difendere come base di conoscenza, viene da noi. Il nostro sistema corporeo, esterno e interno, è base di tutte le invenzioni moderne della comunicazione, ed è oggetto di sapere o di questioni in culture ed epoche. Siamo tutti perfettamente coscienti che quando il genere umano intelligente non si è occupato del corpo come oggeto di sapere o di paragone filosofico gli uomini, esseri pensanti, si sono allontanati da loro stessi. Qualunque tipo di pratica corporale, e del suo relativo studio, nel caso di oggi la danza, interno al percorso formativo di un individuo è momento di trasparenza formale per chi guida detto processo evolultivo, e momento trasparente mentale per chi lo esperimenta.

Una serie di meditazioni filosofiche, che qui il tempo non ci permette di rivedere e che in ogni modo forse ci allontanerebbe dal nostro obiettivo di oggi, permette a molti dellá comunitá della danza di pensare il corpo artistico come pratica ed espressione fisico-mentale, al corpo come res cogitans; difendo la teoria per la quale danziamo ció che pensiamo, danziamo come pensiamo e se si si potesse, e si puó, ripercorrere il ragionamente al contrario, pensiamo esattamente come danziamo, come ci muoviamo. Nessuno dei due percorsi citati ha un valore assoluto e unidirezionale, il pensiero come funzione mentale-concettuale ci porta ad essere un corpo puttosto che ad un altro, il pensiero come risultato referente a un stato di percezione sensoriale ci porta a un movimento piuttosto che ad a un altro, significherebbe quindi che analizzando un corpo e conducendo un movimento lavoriamo, di fatto, sul concetto che il nostro pensiero cerca di realizzare e induciamo i movimenti a sensibilizzarsi verso determinate percezioni. La danza come materia, come studio applicato, come pratica interna alla formazione educativa, offre uno strumento presente e reale a chi guida il processo formativo, guida che riconscerebbe i momenti dell’individuo in crescita, facendo di essi un oggetto di analisi, e la danza come tecnica, mecanica e dinamia del movimento corporeo, offe a chi la pratica la grande possibilitá di poter ri-condurre un’espressione al suo relativo contenuto. La danza nell’istruzione liceale è disciplina tangibile e auto-disciplina che sperimentata ció che si pensa, come si pensa e le associazioni possibili con gli stimoli esterni, una sperimentazione fisica dell’intelleto, la danza come luogo di intontro dei conoscimenti. Praticare o riflettere sul movimento scenico, evento che è proiezione teatrale di tutto ció che si danza nell’interno dell’essere umano, non puó oggi che essere se non dal suo pensiero, con e verso il suo pensiero, per capire e decifrare la mente che fa di un corpo, un corpo danzante. Se rifiutassimo ancora una volta la possibilitá di porre al centro dell’arte dinamica il corpo dell’artista che fa del suo fisico uno specchio trasparente disponibile alle anime altrui, indipendentemente dei tanti punti di vista con cui si puó affrontare il tema, non vivremmo il momento di concepire e quindi studiare la trasfigurazione del corpo umano come fenomeno linguistico, la trasformazione del corpo umano come testo interpretabile. Distinguere, non tanto sostanzialmente cuanto come origine di linguaggio, il corpo dalla mente, dal pensiero, l’essere danzante dall’essere pensante, impedisce ogni tipo di relazione organica con il mondo: la pratica corporale della danza come sintesi, come ‘comprensione’. Cosa succederebbe se un alunno che apprende la grammatica geca scoprisse che la forza interna e logica di un paradigma verbale la puó riprodurre su di sé, grazie a una pratica fisica?, o che tradurre una versione di una lingua antica, coinicide con l’azione mentale di cui ci serviamo quando cerchiamo di passare da un linguaggio interno a uno comprensibile per gli interlocutori?, o che parlare di interpretazione di un testo, significa nutrirsi dei conoscimenti sufficienti e necessari per cui si possa formalizzare ció che percepiamo in una visione che, per quanto propia, non perde di vista l’aspetto di comunicazione pubblica, a cui detta interpretazione è destinata? Ballerebbe, capirebbe che la struttura mentale che utilizza per tradurre e in secondo tempo interpretare, processo che avviene di fronte a un testo, un ragionamento, una formula, un immagine...è esattamente il cammino che viviamo quando ci rappoprtiamo al nostro corpo come possibile forma artistca, forma pubblica, comunicativa e che appartiene a un discorso, lo stesso che avviene tra due interlocutori parlanti, dove i partecipanti conversanti si guardano e si odono, a seconda della capacitá che ognuno di loro ha sviluppato rispetto alla relazione forma-contenuto per chi si muove e la relazione percezione-concetto per che chi assiste.

La mente di chi pratica il linguaggio corporale come tecnica di sé e di espressione pubblica è una mente poetica, scientifica, filosofica...che traduce in una unica forma, o, in casi eccezionali in un uncio gesto, se per gesto ci riferiamo all’uso del gestus brechtiano, quello del mostrare, traduce un pensiero che essendo visto, non si puó ed è offerto all’initerpretazione altrui. Offerta che avviene grazie a una tecnica che struttura una grammatica del corpo, una sintassi del corpo, un logica di movimento che permette la lettura, l’atto del leggere, con il significato latino di cogliere, percorrere. Heidegger chiede ‘ che cos’è leggere se non cogliere, raccogliere, raccogliersi nella compilazione di ció che resta di non detto tra ció che si dice?’

Il Testo corporale danzato non puó che essere tecnicamente costruito, ricordando che anche la scienza dell’improvvisazione è prodotta da conoscimenti tecnici, per evitare uno stato di confusione che impedirebbe la lettura, il raccogliersi. In un corpo di danza l’assenza della tecnica, come saggezza e conoscenza in grado di rappoprtarsi agli altri saperi, annulla la comunicazione pubblica, annulla l’ evento cosciente di sé. Definimamo co-municazione ‘ció che si muove assieme ad altro’. Se ci si dimentica per un momento che il discorso danzato si pre-costruisce per un evento pubblico ovvero per un ascolto, una visione uditiva, per una ‘appropriazione’, non ci sarebbe niente da raccogliere, per definizione e necessitá l’arte semina frutti di cui abbiamo il dovere di fare un uso intelligente verso la con-divisione, la comprensione. Non tutti sono ballerini pero tutti hanno un corpo, ovvero tutti hanno con sé qualcosa di facilmente associabile a ció che avviene sotto il propio sguardo; il corpo di danza puó risultare esteticamente lontano, pero è sempre vicino, per natura, nel senso che obbliga lo spettatore, il corpo che guarda e che ascolta, a una testimonianza che, con un minimo di sensibilitá non puó che essere testimonianza attiva. La prima forma di detta attivitá sará verbalizzare ció a cui si ha assitito, o che nei migliori dei casi è stato vissuto, verbalizzazione che avviene succesivamente alla intima lettura di ciascuno, ognuno con la sua conoscenza come bagaglio di raccoglimento.

Il corpo in danza è corpo che riflette intenzionalmente su un oggetto, o che riflette un oggeto, al quale dover dare  una forma che risulta essere reale e astratta contemporaneamente. Reale per il fatto che esiste realmente, ovvero si relaziona a colui che la contempla solo ed esclusivamente nel momento in cui si manifesta. Spesso, rispetto alla forma artistica, ci si chiede ‘che cosa vuol dire’, ‘che cosa manifesta’, riferendosi a un evento danzato o una semplice composizione di movimenti o alla posizione artisica di un corpo dinamico, cadendo in questo modo nell’errore di cercare qualcosa di obiettivo, quando la risposta alla questione ‘che cosa manifesta’ non potrá che essere ingenuamente intima e culturalmente soggettiva, non potrá che avere un valore di unicitá, ovvero unicamente valida per chi la percepisce, e unicamente valida per chi ragionerá in un secondo tempo di fronte all’informazione ricevuta rispetto alla manifestazione di una forma cui non ha assistito. La forma reale che cerco di definire è innanzitutto reale manifestazione di sé, non è il corpo che danza in se stesso che manifesta qualcosa, sará piuttosto il ritmo, l’uso del tempo, il sistema di creazione dello spazio, la serie di direzioni diverse con cui si osserva il suo muoversi...tutto questo manifesta qualcosa, esatamente come accade con la poesia: la quantitá dei versi, l’uso delle rime o il rifiuto di esse, gli elementi carattteristici di una terzina, la sua musicalitá, per poter uilizzare un termino generico e chiaro anche se complesso, o come succede con l’arte pittorica, dove il colore rosso, per il solo fatto di averlo introdotto tra linee nere, giá non è piú un semplicemente rosso, è un particolarmente rosso...e cosí potremmo continuare con esempi relativi alla musica, al montaggio cinematografico...si tratta di decisioni, da parte dell’autore, che ci portano a leggere, a interpretare, a ricevere quella cosa che incosciamente cerchiammo como risposta al manifestare artstico. Il corpo in danza è tutto questo, un oggetto di lettura, e la mente di chi danza è cosciente che qualcuno che si concentra in modo particolare a un movimiento piuttosto che ad un altro, è giá autore di una forma dinamica che orignariamente non gli apparteneva, lo è nel momento in cui trasmetterá ció che ha letto, interpretato, ció che per lui era manifesto, ció che ha raccolto. Il corpo in danza è corpo cosciente della pluralitá, dove si ha coscienza del fatto che l’atto di scrivere, comporre, manifestarsi ha significato nel momento in cui chiunque puó vivere l’essere autore delle sue stesse sensazioni: quando danzo, io corpo, so che la prima relazione di cui saró il ponte comunicativo si basa sulle percezioni altrui del mio movimento, quando preparo la danza e il mio corpo saró quindi cosciente che il mio braccio dovrá svilupparsi verso una forma apparentemente oggettiva, o meglio disponibile, a tutte le percezioni soggettive possibili di quanti assisteranno al suo manifestarsi. È come dire che il braccio non mi appartiene, per un certo tipo di artisita è facile capirlo, si tratta di avere sempre presente e chiaro l’obiettivo pubblico della propria volontá artistica di comunicazione, e quindi trovarne il metodo di lavoro e il sistema di trasmissione per cui chiunque nel mio braccio possa riconoscere una intenzionalitá o un’attivitá, senza necessariamente averlo consciuto anteriormente o conoscermi personalmente. In questo processo continuo di trasformazione e generositá, valore essenziale di una comunicazione artistica, esiste la parte astratta cui si accennava anteriormente.

Giungiamo quindi, forse in un modo un po’ veloce, a definire il corpo che danza come un fenomeno temporale-spaziale-dinamico. Terzina di stati sempre presenti che chiarisce la relazione continua tra detto fenomeno ed altri saperi, è esattamente per questa triade, collocata spesso al limte tra una visione estetica e antropologica, che molti pensatori si sono occupati di lui. Di quel fenomeno che è pratica e fiolosofia di vita per alcuni, e mistero e oggeto di speculazione, di divulgazione di regionamenti utili, per altri.

Pierre Legendre (La passion d’être un autre – Paris, 1978 . Editions du Seuil)

scrive che “non si potrebbe concepire operazione piú funzionale di quanto lo sia la danza, nemmeno piú direttamente politica rispetto alla scala che agglomera gli esseri umani, per riprodurre l’amore verso una certa versione sociale della Legge, quella Legge in virtú della quale i soggetti possono essere chiamati a riconoscersi, senza confondersi con tutti gli altri e tuttavia chiamati a declamare sulla confusione. La nostra entrata nel mito è esattamente qui, evidentemente qui, in quel passaggio del Testo che tratta della danza...Ci troviamo ai piedi del muro, all’entrata della cittá mistica, lá dove impariamo che abbiamo un corpo fisico spogliato di senso e qualcosa d’altro, un corpo completo, quello que nasconde un senso, il senso stesso della bellezza”, Rilke aggiungerebbe ‘...e la bellezza, come trattenerla?’.

Il corpo che danza è un corpo ‘mitologico’, ovvero un corpo che offre la possibilitá di un approccio mitologico di noi stessi, e noi, spettatori del corpo dinamico, noi lettori di parole non dette, visualizziamo un mondo possibile e probabilmente interno a noi; potremmo scoprire a un livello sensitivo il mondo mitologico che biograficamente la nostra mente ha realizzato, cosí come il ballerino, non visulizzandolo, lo espone direttamente, a volte inconsciamente. Se questo accade, la danza si presenta come materia per studiosi, come oggeto analizzabile su sui specualare grazie a diverse conoscenze, per fare di lei, della Signora dello Conscio Transparente, un incontro inevitabile con noi stessi e con la relazione che nutriamo con l’esterno a noi, non dimentichiamoci mai che la danza è ritmo, e le nostre sensazioni e i nostri sentimenti con cui ci presentiamo e di cui ci occupiano quotidianamente, sono i nostri ritmi, le nostre danze?

Occuparsi di una danza, significa occuparsi di un ritmo? Assistere alla danza di un corpo significherebbe poter leggere il suo ritmo? Raccoglierlo? Le sue sensazioni? I suoi sentimenti? O trattandosi di un corpo ordinato intelligentemente, di un testo che dimentica le parole per servirsi dei suoni di esse, con-viviamo i suoi ritmi scoprendo i nostri? E ci troviamo di fronte alla grande possibilitá di un porta aperta su di noi? Per poter entrare nella mistica cittá di cui ci parlava Legendre?

 

Una delle differenze basiche tra il movimento del corpo che danza e il movimento interno di una poesia scritta, è che quest’ultima è totalmente offerta al lettore, non solo alla sua interpretazione, anche al suo uso. Un lettore sempre potrá rileggere una poesia e decidere il tempo durante il quale soffermarsi su di una parola o un verso, in danza questo non è possibile, come tutte le arti sceniche, la danza è evento del ‘hic et nunc’. Lo spettatore della danza non puó rivedere un movimento, il tempo a disposizione per contemplare un gesto o un movimento è deciso e condotto dall’autore della composizione. Puó sembrare un limite, rispetto al ragionamente che paragona il movimento pubblico con la lettura privata, in realtá il tempo è ció che risulta essere comune all’autore e allo spettatore, è la base di comunicazione tra colui che balla e colui che guarda, entrambi hanno a disposizione lo stesso tempo, una volta che il ballerino avrá terminato la sua danza lo spettatore avrá terminato il tempo che gli era concesso per poterla percepire. Non si puó rileggere. Ció che li accomuna, ballerino e spettatore, li distanzia notevolmente, per il fatto che si parla di un tempo vissuto diversamente, il corpo che danza semina e il corpo che guarda raccoglie.

Un corpo disponibile quindi, il ballerino si trova di fronte a un mondo offerto a lui, riflette, fa in modo che le cose del mondo siano possibile oggetto di riflessione per la sua mente, le abbraccia e le osserva e ne prende distanzia con l’obiettivo che le cose riflesse si manfestino per se stesse, a seconda di chi le scoprirá al momento della danza. Riflette, il corpo che danza è tabula di dette riflessioni e decide di esporsi, di esporne una manifestazione formale, cambiando di froma a seconda di ció che è riflesso; qualcuno scoprirá le riflessioni, ovvero i riflessi di dette cose, qualcun altro osservará attentamente il motus provocato da esse e da ció rifletterá, a sua volta, su di un altro oggeto mentale che propabilmente non coincide con quello visibile della tabula corporea esposta. Tornerá ad essa quando, in altro momento, in altro luogo e probabilmente con altre persone, ricorderá quel corpo, un ricordo messo in moto per associazione con un altro o con qualunque altra cosa che il mondo gli offra, e forse allora visulizzerá quei riflesi. Il tempo di cui si accennava quindi come comune tra corpo che danza e corpo che vede è in realtá durata, ovvero spazio, il tempo reale non è comune. Tra ballerino e spettatore l’evento inizia nello stesso momento, la comunicazione inizia nello stesso momento, e questo è certo, pero termina in diverso momento e diverso luogo. Se il corpo di danza non fosse realmente aperto, offerto, disponibile, ció non accadrebbe. Tutti noi abbiamo esperienze molti simili a questa, parliamo quindi di un corpo inserito nel mondo, attivo, implicato, dove comunicante e comunicato coincidono, dove si mette in moto una trasmissione di concetti e percezioni che continuerranno a trasmettersi indipendentemente del corpo che giá non danza e che ha danzato, la trasmissione continuerá, si allontanerá dalla sua origine, si nutrirá di traduzioni e interpretazioni, si trasformerá in memoria, con la possibilitá anche di esaurirsi.

  

Il corpo che danza crea spazio, un fattore o una dimensione che per l’arte è tempo. Kant li definisce come sorgenti conoscitive, forme pure di tutte le intuizioni sensibili. Si tratta di un intervallo tra confini, limitati o determinati dal movimento o dalle linee che siamo costretti a immaginare per poter realmente visualizzare qualla parte di spazio che definiamo come posto o luogo di una determinata posizione, e quanto piú grandi si fanno dette linee piú comune è lo spazio tra il corpo che danza e il corpo che guarda. Fenomeni che si sperimentano a vicenda. Una volta percepito lo spazio artistico, che si forma e si abbandona continuamente per la stessa natura dinamica del corpo danzante, ovvero uno spazio in continua trasformazione, per essere direttamente proporzionale agli elementi che caratterizzano il movimento della comunicazione, una volta percepito lo spettatore si ritrova con il propio pensiero che contempla, osserva, i movimenti di un pensiero altrui, un pensiero che non si manifesta verbalizzando e che il pensiero di chi guarda puó solo percepire. È lo spettatore che lo verbalizzerá, manifestandosi come l’autore assoluto e originale di quelle parole che sonoramente esprimono il pensiero percepito, determinerá uno stile per poter trasmettere quanto ha visto. Puó succedere di sentir dire ‘mi è piaciuta quella danza, pero non l’ho capita’, il corpo in danza chiede di essere capito? No. Talvolta è il suo autore che vive il desiderio di essere capito. Il corpo in danza chiede di essere visto, con calma, senza pregiudizi, né questioni, perché l’arte per natura desidera aprire questioni e crea guidizi, tra i quali il giudizio riflettente estetico, utiizzando un ragionamento kantiano, legato alla rappresentazione dell’oggetto e che, se pur privo di validitá oggetiva determinante come nel caso del giudizio conoscitivo, possiede funzione universale e necessaria. Spesso si sente dire ‘mi è piaciuto quella danza, pero non l’ho capita’, un mio esempio biografico si riferisce a una conoscente che dopo aver visto danzare Carolyn Carlson in un teatro di Madrid, per la prima volta assistette a un assolo della Lady della danza contemporanea, esclamó “non ho capito niente, pero era meraviglio, come se si trattasse di un gabbiano con grandi ali la osservavo”...un evento di questo tipo per un artista è un momento di relazione diretta: lo spettatore che contempla il movimento per quello che è, permette che la comunicazione dell’oggetto si manifesti secondo la sua forma e il suo stile, solo rispetto a un possibile contenuto si puó ragionare, pero, tutto il resto, ció che realmente è manifesto, ovvero il veicolo evidente della comuncazione, si accetta come reale e unicamente possibile, dove la rappresentazione dell’oggeto e l’oggetto coincidono, per il corpo che guarda quello è un giudizio riflettente estetico determinante. Questo succede soprattutto perché il corpo in movimento che è corpo artistico, disponibile e preparato all’offerto, è un corpo pre-ordinato, carico di significati simbolici, riflettutti, realizzati, scelti e coordinati, che assumono forma come se di un ‘hic et nunc’ vitale si trattasse. Signifiicati che realizzano un habitat che separa lo spettatore dal disordine collettivo cui siamo soggetti quotidianamente, e lo obbliga ad utilizzre la funzione ordinata e concentrata della sua mente. Nel caso in cui detta mente non prendesse il sopravvento nello stato psichico dello spettatore non ci sarebbe ascolto, non ci sarebbe dialogo, non ci sarebbero quei racconti che permettono al corpo che danza di continuare la sua comunicazione grazie a ció che il corpo che si è concentrato guardando racconterá a chi non c’era. L’arte pemette sempre un dialogo tra un testimone e chi non c’era. Succede anche perché il concetto di ‘io’ come ‘io parlante’ come soggetto della comunicazione, in danza non esiste, nel linguaggio verbale, scritto o parlato, è chiaro come identificare la parola ‘io’ con il parlante o con lo scrittore, in danza questo tipo di ricezione non lo possiamo concretizzare.

 

Il corpo in danza, è un corpo privo di parole e con voce, che si formalizza in suoni e significati a seconda di chi la ascolta. Risulta essere voce di una sintesi di tutti que saperi presenti all’evento. Nel caso in cui la voce venga percepita, riconosciuta o semplicemente scoperta, ciascuno di noi, grazie al suo sapere delle cose, la formalizzerá foneticamente di modo che, pur essendo ogggetiva, offerta pubblicamente, risulterá soggettiva, nel preciso momento in cui è ascoltata e tramandata per saperi diversi, tanti quanti siano i presenti al suo manifestarsi. La comunicazione primaria, la comunicazione senza origine, senza linguaggi né lingue,  la comunicazione dove significante e significato si muovono insieme...Il corpo che danza è voce che dice, non rappresenta, dice, al dire ci impegniamo a verbalizzare con intelligenza tutti i suoi particolari. Un movimento non sostiuitusce le parole, è esso stesso parola, cosí come le parole sono gesti, espressione. Non è difficile dire ‘ti amo’, foneticamente è molo semplice, e non sono parole sconosciute alla nostra culttura, anzi, si utilizzano spesso senza limiti di contesto. È molto piu difficile essere amore nel momento in cui si dice ‘ti amo’, a volte, la maggior parte di esse, essendo amore, non abbiamo bisogno di verbalizzare quello che siamo, non abbiamo bisogno di formulare la frase ‘ti amo’, spesso lo siamo cosí realmente e inevitabilmente che queste due parole ci risultano inadatte paragonate alla nostra identitá emotiva, è quando lasciamo che lo sguardo, le mani, il muoverci in sostanza, manifesti lo stato d’animo, ovvero ci manifestiamo offrendo al interlocutore la responsabilitá attenta di percepire qualcosa che per noi è chiaro nella forma e nel contenuto. Il corpo in danza non è un corpo che esegue un movimento, è movimento. Lo è realmente, si muove e si esprime davanti ai nostri occhi senza pudore e con un ragionamento sottile, anteriore al pubblico incontro, ed è reale e tangibile astrazione: si immagini un corpo che danza intrecciando le sue braccia, per il corpo che guarda non si tratta di assisterre ad alcune delle tante braccia possibili, sono le uniche, le uniche che esistono in quel momento e in quella relazione virtuale di spazio, per lo spettatore risulta chiaro: il ballerino e il suo braccio che si muove, coincidono.

Perché tuttto ció possa accadere, abbiamo bisogno che la mente che danza e la mente che osserva siano entrambe in uno stato di attenzione particolarmente alto, che la concentrazione sia assoluta, danzando obblighiamo agli altri a non pensare ad atre cose che non siano presenti nella nostra danza o che il nostro corpo non stia espressando o motrando, il ‘hic et nunc’ non è solo un fenomeno che appartiene al corpo della danza, anche lo spettatore è un ‘hic et nunc’, dove è chiaramente impossibile poter ripetere, perché quel movimento osservato e ballato in quell’istante avviene una volta, una volta soltanto, direbbe sempre Rilkje, per una volta si manifesta e per la stessa unica volta si percepisce, è evidente quindi che cerco di invitare a un uso intelligente e sensibile del tempo. Per questo motivo l’evento di un corpo che si muove artisticamente è un dialogo tra persone particolarmente attente, intelligenti e sensibili. Da qui il termine che ho utlizzato all’inizio, comprensione, esiste un sapere o un veicolo comunicativo che non ha bisogno di questo tipo di mente?, per questo motivo un corpo che non danza bene, una danza superficiale, è un momento triste, grave, non solo dal punto di vista artistico, è che risulta inutile dal punto di vista comunicativo. In quel momento si è persa l’importanza dell’intelligenza, della sensibilitá, dell’attenzione.  Valori che pro-vocano, leggono e realizzano qualcosa di autentico, la comunicazione in danza è un fatto autentico. Qualitá che Erich Fromm analizza rifrendosi all’attivitá creativa,

 

Rispetto a quanto è sato formulato cito Paul Valerý

“vado diritto alle mie idee e vi dico, senza alcun preparativo, che la Danza  a mio avviso non si limita a essere un semplce esercizio, un divertimento, un’arte ornamentale e qualche volta un gioco di societá; è una cosa seria e, sotto certi aspetti, cosa molto venerabile. Qualsiasi epoca che abbia capito il corpo umano, o che abbia almeno provato il sentimento del mistero di questa organizzazione, delle sue risorse, dei suoi limiti, delle combinazioni di energia e di sensibilitá che esso contiene, ha coltivato, venerato la Danza” (Paul Valery, Philosophie de la danse, in Oevres, 2 voll., Gallimard, Paris, 1957, vol I, p. 1391).

 

Rispetto a quanto è stato formulato cercheró in breve, come logica conseguenza del discorso presente di strutturare un programma ipotetico di una serie di sessioni di Danza, come materia di formazione liceale, si baserebbe sui seguenti contenuti: un luogo per ri-vedersi, ri-conoscersi, strutturarsi como mezzo comunicativo del propio pensare, lo sviluppo cosciente del propio linguaggio corporale e la continua lettura del linguaggio altrui, il riconoscimento del tipo di mente o di quella parte di mente che mette in moto un concetto o una percezione o una interpretazione o che cambia da analitica a sintetica a seconda del contenuto del messaggio, una esperienza pratica di un atteggiamento filosofico sulla questioni del manifesto e del manifestante, auto-disciplina della responsibilitá come base evidente della propia relazione forma-contenuto, artesanía culturale e tecnica del movimento corporeo come oggetto evidente e offerto alle esterne interpretazioni, esperienza del corpo oggettivo e della percezione soggetiva, coscienza del tempo della comunicazione e della sua espressione in spazio e durata, coincidenza entre verbalizzazione e essenza dell’oggetto verbalizzato, sviluppo della sensibilitá e  dell’attenzione.

Gli stessi studi di danza, nella nostra societá contemporanea, non si limitano allo sviluppo tecnico del corpo, anche se questo resta, e spero ancora per molto tempo, la base di una formazione ballettistica. È normale ed acettato che una tecnica di danza si deve arricchire con altre pratiche; in molte scuole lo studio delle arti orientali, quali il tai-chi cuan o lo yoga, gli obiettivi pedagocici della cosí definitia danza creativa, gli studi di teoria musicale, di ritmica o espressione corporale, di estetica e filosofia, approfondimenti di geometria e di esperienze dell’uso tecnologico dei nuovi mezzi moderni di comunicazione, sono aiuti alla formazione del ballerino, e lo sarebbero alla formazione dello spettatore? In diversi paesi la pedagogia della danza e gli studi coeografici sono formazioni universitarie e gli insegnamenti artistici rientrano, in alcuni casi, in una delle tante possibilitá di formazione scolastica che la societá educativa offre. Questo significa anche che siamo culturalmente preparati per capire da un punto di vista metodologico, rispetto allo sviluppo dei contenuti anteriormente citati, quali potrebbero essere i sistemi contemporanei che valorizzano la base dell’insegnamento della danza in una formazione liceale, perché questa sia materia di cultura e dialogo tra i saperi. Alcuni esempi di detti sistemi: conseguenza del pensiero di Delsarte è una teoria del movimento e di un sistema pedagocico basato sull’osservazione sistematica del gesto, delle inflessioni della voce, dei movimenti e delle espressioni corporali  nel contesto quotidiano dell’individuo, un metodo che partendo dalle leggi naturali analizza gli atti dell’espressione e avvicina il teatro alla danza come unico sistema di studio. Rudolph Von Laban, non è solo il referente per molti coreografi della teoria di notazione dei movimenti compositivi in danza, è il teorico che propone una possibile ‘danza moderna educativa’, un sistema basato sulle qualitá creative, regeneratrici ed eductative della danza. Laban, partendo dallo specifico della meccanica e della dinamica del movimento, dalle tecniche di improvvisazione e regole di composizione, permette per chi studia di sviluppare un atteggiamento creativo verso i saperi e l’uso di essi. La ritmica e l’espressione corporale, studio proposto da Jacques-Dalcroze occupa una posizione unica rispetto ad altri metodi. Lo studio della Ritmica, favorisce lo sviluppo della manifestazione istintiva e spontanea, esattamente come la definisce Erich Fromm, dei propi ritmi corporali, del propio spazio e della coscienza dei propi spostamenti grazie a leggi determinate dalla relazione energia-spazio-tempo. Crea quindi una continua esperienza al limite tra libertá e struttura, tra pensiero e la sua manifestazione pubblica.

 

Chiedendo umilmente scusa per la brevitá con cui mi sono permesso di affrontare il tema proposto spero che questo discorso vi sia di utilitá per le questioni e le riflessioni importanti che state affrontando.

 Augurandoci che quello che facciamo, in ogni momento anche qui, ora, è perché l’uomo e la donna siano colti, coscienti e intelligenti, capaci di comunicare qualunque sia il messagio dei loro desideri e interessi, vi ringrazio per avermi dato la possibilitá di esprimere alcuni appunti del mio pensiero in questo contesto che con voi, a partire da ora, condivido.

   

Grazie.

 

©Ministero dell'Istruzione, dell'Universitá e della Rierca

Prima edizione: ottobre 2008, Verona - Roma